Lo psicologo: chi è e cosa fa?

Pubblicato il 2021-05-26 da Francesco Latini
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Lo psicologo è una figura professionale relativamente giovane e per questo motivo ancora poco definita nell'immaginario collettivo. Cerchiamo quindi di capire meglio chi è e che cosa fa.

La psicologia come disciplina scientifica (distinta quindi dalla filosofia e dalla religione) nasce in Europa nella seconda metà dell'Ottocento ma come professione, in Italia, viene istituita solo nel 1989. Dal 2017 è considerata una professione sanitaria (come medici, farmacisti, infermieri, ecc.) e quindi posta sotto la vigilanza del Ministero della Salute. Per svolgere tale professione sono necessarie:

  1. una formazione universitaria, in particolare una laurea magistrale nella classe LM-51 (Psicologia);
  2. un tirocinio professionalizzante di un anno;
  3. l'abilitazione mediante esame di Stato (attualmente in fase di abolizione);
  4. l'iscrizione alla sezione A dell'Albo professionale.

Quindi, per capire se lo psicologo a cui ci si sta rivolgendo è effettivamente abilitato all'esercizio della professione è sufficiente verificarne la presenza nell'Albo A, visionabile qui. Qualora fosse assente, allora potreste essere di fronte ad un caso di esercizio abusivo della professione.

Il tema dell'abusivismo professionale permette di affrontare un pregiudizio comune, cioè che per svolgere questa professione non servano particolari competenze e che in fondo "siamo tutti un pò psicologi". Se è vero che, in quanto appartenenti al genere umano, tutti tendiamo ad avere una certa conoscenza di base dei pensieri e dei sentimenti che muovono noi e gli altri, la possibilità di intervenire in termini terapeutici è massimizzata se:

  • la relazione è asimmetrica: psicologo e paziente tendenzialmente non si conoscono e questo permette di instaurare nel tempo un legame affettivo del tutto peculiare, in cui il protagonista ed il centro di gravità della relazione è rappresentato dal paziente. Nella stanza dello psicologo, salvo casi particolari, si parla delle gioie e dei drammi di una sola persona: il paziente. Inoltre, tutto quello che viene detto è protetto dal segreto, rimane confidenziale. Questo è difficilmente realizzabile con i nostri amici, familiari e partners, che si aspettano invece almeno un minimo grado di reciprocità ("ok, hai parlato per un'ora, adesso fammi raccontare questa cosa...") e non sono obbligati al segreto professionale. Inoltre, mantenere questa asimmetria nel tempo garantisce allo psicologo uno sguardo maggiormente obiettivo ed onesto, mentre spesso siamo talmente immersi nelle nostre relazioni quotidiane da non riuscire a mettere a fuoco certe dinamiche, oppure non abbiamo la forza di notarle o farle notare, o ancora i pregressi (positivi e negativi) con l'altra persona tendono a distorcere le nostre interpretazioni;
  • si ha una conoscenza approfondita e poliedrica della mente e dei suoi processi, anche inconsci, utile per orientare la pratica clinica: per questo motivo, per quanto asimmetriche, relazioni con professionisti che il luogo comune considera "un pò psicologi" come il parrucchiere o il barista difficilmente possono essere trasformative in quanto i loro interventi sono basati essenzialmente sul buon senso e l'esperienza personale, non su un bagaglio teorico;
  • si ha un'adeguata capacità di ascolto, di immedesimazione e non-giudizio: questo punto evidenzia come la teoria, di per sè, non sia sufficiente per avere dei risultati terapeutici e ciò spiega perchè un parrucchiere o un barista, qualche volta, possano anche indurre degli effetti positivi. Si tratta infatti di capacità trasversali, presenti anche nella popolazione generale, ma nello psicologo queste rappresentano degli importanti strumenti di lavoro e quindi sono allenate ed affinate nel corso del tempo.

Possiamo quindi dire che la stanza dello psicologo è un ambiente umano "artificiale" in cui delle variabili considerate "terapeutiche" sono amplificate mentre altre vengono silenziate. Questo non significa che anche la vita di per sè, con le sue innumerevoli e mutevoli esperienze, non possa essere terapeutica: spesso infatti un incontro, un evento o un discorso possono portare a dei benefici durevoli e significativi. Lo psicologo cerca però di accelerare ed amplificare i processi terapeutici costruendo un ambiente specifico con delle "regole" del tutto peculiari. Fondamentale rimane comunque il contributo del paziente: lo psicologo può essere il facilitatore di processi trasformativi, ma se il paziente non è motivato a fare un percorso, a mettersi in gioco, difficilmente si potranno osservare dei cambiamenti.

Che cosa fa lo psicologo? si occupa di salute, che viene definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come "uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale e non semplice assenza di sintomi". Per raggiungere questo obiettivo lo psicologo può svolgere diverse attività, tra cui:

  • diagnosi: da intendersi non come una "lettera scarlatta" o un "marchio" da imprimere ad una serie di sintomi osservabili o inferibili quasi a determinare il destino di qualcuno, ma come un processo conoscitivo che permette una maggiore comprensione di Sè e costituisce un punto di partenza per un lavoro esplorativo;
  • consulenza psicologica (o counseling): è finalizzata ad aiutare la persona che si trova in una situazione di impasse ad incrementare la sua capacità decisionale, a riorganizzare quindi le proprie risorse personali al fine di rispondere efficacemente ad una situazione percepita come problematica e bloccante (ad esempio, decidere dove fare l'università e quale corso di studi intraprendere);
  • sostegno psicologico: è finalizzato a promuovere il benessere globale della persona, che si trova a dover fronteggiare una situazione problematica in qualche modo inevitabile e presente nel qui ed ora (come nel caso di un lutto, una separazione, un passaggio esistenziale...);
  • abilitazione / riabilitazione psicologica: si tratta di un insieme di interventi volti da un lato a promuovere il benessere dell'individuo (come ad esempio sviluppare delle strategie per contrastare l'ansia) e dall’altro recuperare o compensare abilità o competenze che hanno subìto una modificazione, un deterioramento o una perdita (come, ad esempio, nel caso dei disturbi psichiatrici);
  • psicoterapia: consentita a psicologi o medici che hanno svolto un percorso di specializzazione specifico, consiste in un processo volto a modificare almeno parzialmente gli aspetti strutturali (e, quindi, profondi) della personalità, favorendo così nell'individuo un cambiamento di quegli aspetti di Sè percepiti come "portatori di sofferenza" (ad esempio, una psicoterapia potrebbe aiutare una persona ad avere finalmente delle relazioni sentimentali intime, durature e soddisfacenti dopo una vita spesa in relazioni sentimentali superficiali e poco appaganti).

Cosa non fa lo psicologo? Benchè sia opinione diffusa che lo psicologo possa prescrivere dei farmaci (perchè spesso si pensa che "dallo psicologo ci vanno i matti"), in realtà questa è una prerogativa del medico psichiatra, con il quale comunque lavora in stretta sinergia. I farmaci, infatti, non sono da demonizzare ma da considerare una "stampella" o una "impalcatura" per tenere in piedi una persona che altrimenti rischierebbe un crollo mentale, e da mantenere fintanto che questa non riesca nuovamente a stare in piedi con le proprie gambe. A volte ci vuole molto tempo, altre volte questi sostegni non potranno essere tolti: sebbene numerose siano le patologie che costringono a dover assumere continuativamente dei farmaci (come il diabete o l'ipotiroidismo), rispetto agli psicofarmaci permangono forti pregiudizi e sentimenti negativi. E questo dispiace, perchè non dovrebbe essere sentita come una colpa o un fallimento la possibilità di alleviare la propria sofferenza. In ogni caso, se dallo psicologo possono certamente accedere persone con un forte disagio psichico (disturbi psichiatrici), altre volte arrivano persone con un disagio circoscritto o semplicemete chi sta bene ma vuole stare meglio e conoscersi in modo più approfondito. Per cui, solo in certe situazioni è auspicabile un supporto farmacologico... perchè?

Perchè lo psicologo non è nemmeno un "anestesista": fino ad una certa soglia la sofferenza è più utile ascoltarla che ridurla al silenzio con un intervento farmacologico. Solitamente, infatti, il sintomo è un qualcosa di creativo con cui il nostro inconscio ci sta comunicando qualcosa: se urla può essere utile intervenire farmacologicamente ma, se non lo fa, potrebbe valere la pena vivere un certo grado di frustrazione per scoprire cosa ha da dirci. Il sintomo, una volta ascoltato ed esplorato, spesso finisce poi per recedere. Forse la metafora dello psichiatra Abraham J. Twerski può aiutarci a capire meglio quanto detto sopra:

https://www.youtube.com/watch?v=YaREIoBUlsg

Per concludere, se siete curiosi di conoscere altri pregiudizi sullo psicologo ecco del sempatico materiale realizzato dall'Ordine degli Psicologi della Lombardia (OPL):

https://www.opl.it/public/files/2445-Cartoline_Pregiudizio_2016.pdf